Luca Simeone

Napoli in bici: la rivoluzione

La sfida di risalire i vicoli in mountain bike non è solo un'avventura urbana. È anche un modo per cambiare la città pedalando.

La prima pista ciclabile a Napoli è stata tracciata soltanto dieci anni fa. Ma in un decennio la mobilità sostenibile è cresciuta: oggi Napoli è attraversata da flussi di cittadini e visitatori in sella alla bici, anche grazie a un movimento trasversale che unisce aziende, imprenditori, commercianti, istituzioni, cittadini. Quando le potenzialità della città si uniscono alla potenzialità del mezzo, il gioco è fatto. A Napoli, 6 persone su 10 possiedono un’auto. Luca Simeone va controcorrente: possiede 6 biciclette che usa alternativamente per andare a lavoro, nel tempo libero, per accompagnare le figlie a scuola. Luca pensa che la bici sia un mezzo di trasporto rivoluzionario: risparmiare carburante significa depotenziare focolai di crisi internazionali. La sua rivoluzione si chiama Napoli Pedala.

Luca Simeone (a sinistra) durante "La Vulcanica", ciclostorica partenopea ideata e organizzata da Napoli Pedala.

Luca, com’è nata la vostra associazione di promozione sociale Napoli Pedala?

Napoli Pedala è nata dieci anni fa come gruppo informale, con un hashtag #napolipedala che ha precorso i tempi. Erano gli anni della Critical Mass, che ha rappresentato un’esperienza di hackeraggio civico molto interessante: in quel movimento mondiale si sono incontrati e riconosciuti tutti coloro che volevano migliorare le città con il proprio corpo… e con le bici. La bici permette un lento viaggiare che fa scattare nuovi ragionamenti, ti consente di visualizzare i problemi che dovrai risolvere e di concentrarti su ciò che è più importante.

Ricordo che nelle ciclofficine si hackeravano le bici. Con una bici a due piani puoi guardare la città da un altro punto di vista.

La bicicletta stimola il pensiero divergente. Come appare Napoli, la tua città, da questo nuovo punto di vista?

Sempre diversa. Nei giri esplorativi per Napoli mi sorprendo continuamente, anche se sono nato e cresciuto qui. Mi capita di trovare strade e vicoli che non conosco, lontani dai percorsi più battuti, nelle vie pedonali più segrete. Quando pedali in sella di una mountain bike per superare i sanpietrini e scendere dai gradoni, sembra di fare trekking d’alta montagna. Così è nata Napoli Obliqua, un tour per ammirare la città da prospettive che cambiano sempre. A volte carichiamo le bici in spalla per superare ostacoli e cancelli, divieti e zone interdette dove si nascondono angoli di bellezza. Spazi che speriamo di rendere presto fruibili a tutti.

Raccontaci di più di questi angoli nascosti...

Per fare un esempio, il parco della Mostra d’oltremare nella parte occidentale della città è stato chiuso per quarant’anni. Da bambino non l’ho visitato nemmeno una volta, benché abitassi lì vicino. Si dava per scontato che il parco dovesse essere usato soltanto per l’attività fieristica, ma sette anni fa abbiamo sostenuto la riapertura ed è stata una battaglia vinta. Era il classico e pessimo esempio di “non-si- puotismo”, ma noi abbiamo provato a superare un limite e ora siamo dall’altra parte.

Che cos’è per te un limite?

Qualcosa da guardare dal lato opposto. Nel limite si trovano le migliori soluzioni: bisogna abbandonare le zone di sicurezza per spingersi e innovare. Grazie all’Eroica abbiamo ad esempio scoperto il fantastico mondo delle ciclostoriche ed abbiamo deciso declinarla in salsa partenopea, facendo nascere la Vulcanica, un appuntamento ciclistico dedicato a bici e abbigliamenti d’epoca, che si svolge sulle strade più insolite e segrete della città. Ci innamoriamo di idee: se pensiamo che possano essere utili per Napoli, le realizziamo... e in questo modo alimentiamo una nuova domanda. Si direbbe approccio lean, nel linguaggio "startupparo". Solo a quel punto proviamo a dare sostenibilità al tutto.

Hai svolto un incarico difficile ma prestigioso come Presidente del Tavodo della Ciclabilità Comunale. Quali sono i tuoi obbiettivi, per la prossima consiliatura del Comune di Napoli?

È una sfida quotidiana, stretta tra il difendere quanto si è realizzato e avanzare, conquistando spazio, per adeguarsi alle moderne sfide delle metropoli contemporanee. La prossima consiliatura dovrà investire in una forte sfida culturale: Napoli ne ha assoluto e immediato bisogno per crescere nel segno di una mobilità pubblica, condivisa e dolce. Ciò sarà possibile solo se le condizioni infrastrutturali a servizio di chi pedala saranno migliorate. La bici a quel punto sarà la scelta più conveniente e i cittadini saranno pronti a cambiare stile di vita, conti alla mano.

La bici offre tante possibilità di hackerare la città: è un eccellente strumento di social innovation.

Quali sono le nuove sfide nel campo dei diritti per la ciclabilità?

Supportare i rider che effettuano consegne a domicilio pedalando da una parte all’altra della città. Per questo abbiamo creato La Casa Rider in partenariato con Inail Campania e con la collaborazione della Nidil Cgil: uno spazio fisico dove i rider possono riposarsi fra una consegna e l’altra. Oltre a far luce sulle condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i riders, abbiamo avviato un percorso di transizione ecologica promuovendo l’uso della bici a pedalata assistita, il mezzo migliore dal punto di vista economico e sanitario. Abbiamo fatto breccia sul tema della sicurezza stradale in quanto luogo di lavoro principale per i riders. E il nostro progetto ha attirato una fortissima attenzione mediatica nazionale, grazie anche al compianto Antonio Prisco.

Sembra una sfida difficile, ma un hacker persevera fino in fondo. E tu, quanto sei hacker?

A me non piace semplicemente pedalare, ma pedalare per cambiare le città. E in questo sento molto in comune con lo spirito hacker. Per promuovere la cultura dell’uso della bici a Napoli, servono perseveranza e passione al massimo grado.

Un hacker trova una bici... Come continueresti questa storia?

Finisce con una bici a due piani, o comunque completamente diversa dall’originale. La bici è il terreno di prova più semplice per chi vuole hackerare, perché ha una meccanica abbastanza semplice: è una miniera di pezzi da smontare e riutilizzare, spesso con risultati soddisfacenti anche per i principianti. La cultura hacker unisce nello stesso luogo flaneur e smanettoni della bici. Per chi ha una mentalità hacker, tutto può essere riutilizzato. Ti faccio un esempio: qualche giorno fa mi si era rotta una cintura prodotta con uno pneumatico riciclato. Io ho studiato il modello e ne ho costruita una simile in officina, a partire da un mio pneumatico destinato a diventare rifiuto. Quindi la cosa ancora più bella è attivare percorsi di economia circolare.

Le vostre idee sono grandiose. Avete il timore che qualcuno possa copiarvi, oppure - da veri hacker - credete nella cultura open source?

La condivisione delle buone idee è vantaggiosa per tutti. Ad esempio, per Casa Rider stiamo facendo da supporto a diverse regioni italiane per realizzare progetti simili nei loro territori. Su un altro versante siamo stati i primi a creare un agenzia di bike tour a Napoli, mentre oggi sul mercato ci sono una decina di realtà. Non le percepisco come “concorrenti”, ma come soggetti con cui abbiamo avviato una cooperazione per rispondere alla grande richiesta sul fronte turistico. Questo è il nostro approccio, perché promuovere un’immagine green della città ha delle ricadute positive ad ampio raggio. Non ci interessa parlare di bici in circoli ristretti: la nostra sfida è mettere in bicicletta chi si muove in auto. Quando raggiungeremo una massa di persone in bici, avremmo risolto i problemi.

E la politica?

Se c’è la massa, anche la politica si attiva. I cittadini si riprenderanno i propri spazi. Claim your road, claim your space. Serve una vasta comunità che condivida queste scelte. In questi anni ci siamo dedicati a costruirla e penso che sia l’indicatore più importante di riscatto della nostra città.

Image courtesy of Napoli Pedala
Foto di Giusva Fioravanti e Pietro Sorrentino

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