Cambiare le regole del gioco è spirito hacker. Superare un ostacolo vuol dire hackerare un limite. Anche se questo significa insegnare a nuotare a un bambino con autismo.
Secondo Giacomo Cibelli, un bravo allenatore si vede quando le difficoltà sono più stringenti, dove organizzare il movimento di un muscolo è un traguardo da festeggiare. Da più di vent'anni Giacomo è al fianco di bambini e ragazzi disabili, che insieme a lui imparano a prendere il controllo del proprio corpo e a usarlo per correre, sciare, esplorare, segnare un punto. Divertirsi.
Quando ha iniziato a sperimentare in questo settore, fare sport era ancora un lusso concesso ai normodotati. Molti altri, per la propria condizione di disabilità, non avevano accesso alla vita sportiva che caratterizzava la giornata di qualunque bambino. E così Giacomo ha tirato fuori il proprio spirito hacker, quello che ti spinge a saltare l'ostacolo...
Giacomo, nel tuo lavoro non si smette mai di sperimentare, di “hackerare”...
Di sperimentare, ma soprattutto di far sperimentare. Una volta una ragazzina in sedia a rotelle mi ha chiesto di sciare. Non con il dualski, legata al suo tutor durante la discesa. Di sciare in piedi, sulle proprie gambe. E così abbiamo fatto un patto: che ci avremmo provato, ma non ci saremmo mai fatti abbattere dal fallimento. Provare significa anche correre il rischio di fallire, ma non importa. Bene, questa ragazza oggi riesce a mettersi in piedi, a indossare scarponi e sci con un po’ di aiuto, a lanciarsi in pista e urlare di felicità. Poi, dopo il suo quarto d’ora puramente “hacker”, torna sul dualski e sciamo di nuovo insieme. Con questo spirito, ho visto tanti bambini con disabilità sperimentare escursioni nei rifugi, bagni nei fiumi, mountain bike e altre avventure.
Giacomo ha una filosofia hacker che può rendere tutto più facile: quando la sfida è più dura, anche la soddisfazione è più grande.
Ci spieghi quali sono le regole per affrontare situazioni così estreme?
Non dare mai per scontato che la persona di fronte a te non ti capisca. E bisogna farlo anche quando questa persona non parla, non cammina, non ti guarda negli occhi. L’esperienza mi insegna che tutti possono capire, se sai come spiegare. Non solo: se ti aspetti che qualcuno possa capire, capirà. Questi bambini si sentono incompresi già da troppe persone.
Le tue idee si sono trasformate in un grande progetto che negli anni ha cambiato la vita a centinaia di bambini…
Ho scoperto che la maggior parte dei bambini con disabilità non svolgevano attività di educazione motoria, e non mi sono accontentato di accettare questo dato di fatto. Lavorando in palestra ho capito che non c’era nessun servizio pubblico a sostenere questa parte del loro sviluppo e ho scelto di cominciare con 6 bambini e la collaborazione di 8 operatori part-time. Così è iniziata la storia di Gast Onlus, un’associazione che è cresciuta negli anni fino a coinvolgere ben 400 famiglie, supportate da 11 operatori a tempo pieno, 30 soci e 30 volontari continuativi, a cui si aggiungono tanti amici e aiutanti. Oggi Gast Onlus fa parte del Welfare di Reggio Emilia grazie alla costante collaborazione con le istituzioni.
Hai capito da subito che le tue idee avrebbero dato vita a qualcosa di grande?
Tutt’altro. Ero in un momento di sconforto, stavo lasciando un’associazione in cui lavoravo ed ero tentato di chiudere tutto. Poi ho acceso la radio e ho sentito un pezzo, appena uscito, di Eddy Vedder, il cantante di un gruppo che amavo alla follia: i Pearl Jam. Cantava “Society, you′re a crazy breed / I hope you're not lonely without me” e lì ho capito che dovevo trovare la forza di far rinascere qualcosa di buono dalle ceneri. Non avevamo né una palestra, né i soldi per affittarla. Soltanto due palloni che ci avevano regalato. Ma eravamo carichi come delle molle. E con questo entusiasmo abbiamo racimolato qualche euro per iniziare a giocare al palazzetto dello sport di Reggio Emilia. Riuscivamo a pagare giusto due ore per l’allenamento, ma questo è servito per cambiare tutto. La location era da campioni, un campo regolamentare per veri cestisti. Il gestore Claudio Sarti ci ha visti giocare e alla fine dell’allenamento mi ha chiamato in disparte: “Giacomo, da voi non voglio niente. Venite pure gratis, io sono a posto così”. Ho avuto una sensazione fortissima: che ogni volta che si presentava una difficoltà, capitava qualcosa che ci permetteva di superarla.
Abbiamo il sostegno di Niccolò Melli, oggi giocatore della Nazionale
Una storia che ha del miracoloso…
Un miracolo che oggi succede anche grazie alla stima di tantissime persone a livello internazionale e al supporto di numerosi sostenitori privati, una rete molto ampia che abbiamo costruito negli anni. Abbiamo il sostegno di Nicolò Melli, oggi giocatore in NBA, e le attenzioni dell’Università di Modena e Reggio Emilia che fa ricerca sulle nostre attività, a livello accademico. Oggi la nostra esperienza può essere analizzata per valutare i benefici a lungo termine sulle famiglie, ma anche le ricadute positive a livello di risparmio sociale.
In che cosa si distingue un bravo allenatore?
Si dice che un bravo allenatore sia quello che non rovina l’atleta! Per i bambini con disabilità, invece, un bravo allenatore deve saper analizzare il contesto e capire le situazioni, sa programmare e poi affidarsi all’intuito per inventarsi qualcosa di completamente nuovo. Ma soprattutto qualcosa di soddisfacente, che ti faccia sentire un vero campione. Sperimentare il successo è la vera ricetta per convincere anche il più pigro dei bambini a seguire l’istinto dello sport.
L’idea è semplice: non bisogna “fare uno sport”, ma smontarlo, prendere i pezzi che servono e rimontarli per creare quello che serve.
Sembra una questione di pensiero divergente, perfettamente in linea con lo spirito hacker...
Certo, perché l’educazione divergente è fondamentale in situazioni
come queste. C’è bisogno di vedere le cose da un punto di vista
totalmente diverso, se i soliti approcci non funzionano. L’idea è
semplice: non bisogna “fare uno sport”, ma smontarlo, prendere i pezzi
che servono e rimontarli per creare quello che serve, su misura per la
persona che abbiamo di fronte. Non conta il contenuto ma la
competenza.
Un’ultima domanda, Giacomo. Che cosa significa la sigla Gast che dà il nome alla vostra associazione?
Giochiamo anche se triboliamo. Una frase che dà senso a tutto.
Image courtesy of G.A.S.T Onlus